In questi giorni il #Coronavirus ci costringe (o ci permette, a seconda dei casi) di lavorare da casa, limitando allo stretto indispensabile gli incontri di persona. Gli incontri di persona, non le relazioni interpersonali, si badi bene.
Questo ci porta inevitabilmente a dover ridefinire certe modalità di interazione che tradizionalmente venivano adottate. Una di queste è sicuramente l’invio delle e-mail.
Se infatti è lecito aspettarsi un aumento della corrispondenza a fronte di uno scambio di documenti che fino a ieri avveniva in forma cartacea ed oggi in forma digitale, non è altrettanto lecito a mio avviso che questo strumento venga utilizzato per le comunicazioni di servizio, il coordinamento in tempo reale ed i classici commenti da macchinetta del caffè.
Per quello (e per molto altro) esistono le chat: asciutte, efficaci, permettono di gestire contemporaneamente più interlocutori evitando di intasare la nostra casella di posta (rischiando, tra l’altro, di perdersi nel mezzo qualche messaggio veramente importante).
In molti casi poi (non in tutti, ma sicuramente molti di più di quanti ne possiate immaginare) la chat sostituisce efficacemente anche la telefonata. Se dovete comunicare di aver completato un documento (o peggio ancora di aver mandato una mail dove dite di aver completato un documento) la chat è lo strumento migliore per cattuare l’attenzione del vostro interlocutore, consentirgli di leggere il vostro messaggio dandogli il peso adeguato e soprattutto incentivare un feedback rapido e puntuale da parte sua.
Nonostante questo, la mail rimane ancora lo strumento principe di tutte le comunicazioni aziendali. Forse perché molti di noi partono dall’assunto (sbagliato) che l’effimero messaggio non abbia la forza probatoria della mail. Parafrasando un famoso detto: “verba volant, instant chat pure”. Ma in fondo che cosa ha più valore? Un messaggio efficace che stimola un’azione congruente o una raccomandata non recapitata di cui serbate gelosamente la ricevuta di ritorno?