Mentre pensavo a che cosa scrivere a proposito di questo libro mi è venuto in mente un mio compagno delle superiori durante le interrogazioni.
Nello specifico il malcapitato (estratto a sorte e pena un ignominioso “impreparato” sul registro) quando si trovava suo malgrado a lato della cattedra senza aver minimamente studiato, tentava di trarsi d’impaccio scindendo il termine oggetto dell’insidiosa domanda del professore di turno nelle sue componenti elementari.
Volendo imitare il suo approccio sarei tentato di dirvi che questa “Critica Portatile al Visual Design” anzitutto è una critica, vista nell’accezione più estesa del termine. Non soltanto dunque l’occasione per distinguere ciò che è bene da ciò che è male, ma soprattutto il momento per poter analizzare quelli che sono i temi principali, le tessere di un puzzle (quello del visual design) così esteso e variegato da toccare argomenti talmente eterogenei che meriterebbero ciascuno un approfondimento autonomo ed indipendente. Il testo di Riccardo Falcinelli racchiude una serie di nozioni che spaziano dalla stampa alla pittura, dal design industriale alla fotografia, nel tentativo di fare ordine e di stabilire i confini (seppur sfumati) di ciascuna disciplina. Nel corso della lettura mi è capitato sovente di imbattermi in discorsi e teorie già osservati singolarmente in specifiche pubblicazioni cui l’autore fa espressamente riferimento. Da McLuhan a Manuzio, passando per Munari e Depero, la storia dell’arte antica e contemporanea si intreccia con la rivoluzione industriale e l’avvento del modernismo, in un continuum di cui si intuiscono le specificità ma anche le radici, in cui tutto merita una spiegazione che non sia attribuibile al caso.
Una critica (per continuare con l’approccio “decomposto” del mio compagno di scuola) che di seguito è portatile. In prima battuta nel formato. E in questo senso, un libro che parla di visual design non può prescindere dalle dimensione e da una serie di scelte di stile che, man mano che si va avanti con la lettura, divengono sempre più coerenti e giustificabili. Potremmo arrivare a dire che in un certo qual modo è il libro stesso a costituire un primo esempio di riferimento riguardo alla disciplina del visual design. La scelta del font, la suddivisione dei corpi, il rientro dei paragrafi, le note bibliografiche poste a margine di ciascuna citazione, fino ad arrivare alle figure impaginate in una sorta di frenetico campionario. Tutti questi elementi contribuiscono alla narrazione che Falcinelli porta avanti in maniera organica e scorrevole, alternando momenti puramente accademici ad un aneddotica più spicciola e leggera che si imprime con maggiore facilità nella mente del lettore.
La portabilità diviene poi caratteristica fondamentale di un testo che, a mio avviso, meriterebbe una circolazione più ampia di quella che immagino possa avere. Il visual design rappresenta infatti in estrema sostanza quelle che sono le nostre modalità di comunicazione, il nostro modo di rappresentare il mondo secondo una serie di codici che, se non contestualizzati, risulterebbero incoerenti e dunque inefficaci. Ognuno di noi, in questo senso, necessiterebbe (forse prima ancora di imparare a leggere ed a scrivere) di capire il perché non tanto della comunicazione (che rappresenta un nostro bisogno primario) quanto delle modalità con le quali viene esternata al mondo. Tutto quello che ci circonda, da un quadro ad un tubetto di dentifricio, ci lancia dei messaggi che ognuno di noi (in base alla propria cultura ed al proprio contesto di riferimento) recepisce in maniera diversa. Riuscire a decifrare tutti questi messaggi (o perlomeno a capirne l’intenzione) rappresenta dunque una conquista che ciascuno meriterebbe di raggiungere. Il visual design insomma, al pari di molte altre materie insegnate nelle scuole di ogni ordine e grado, meriterebbe a mio avviso una maggiore divulgazione, anche per mezzo di testi agili e sintetici come questo di Falcinelli.
Rimane infine (per completare l’analisi) da destrutturare il termine “Visual Design”. Ma a tale proposito non posso far altro che rimandarvi alla lettura appassionante ed appassionata di questo libro. Una lettura che, grazie anche alla strutturazione della narrazione, riesce ad inserirsi in qualsiasi momento della giornata, trasformando quella che potrebbe sembrare una noiosa trattazione accademica in un interessante racconto sulla comunicazione nella storia dell’uomo.
E con questo spero di aver risposto alle vostre domande su questo libro. Che dite… ho meritato la sufficienza?