(“State a casa!” traduzione dal dialetto anconetano n.d.r.)
«E sté a casa!!!»
Io lo dicevo da prima del #coronavirus.
L’ho ripetuto per anni: in coda alla cassa del supermercato, d’estate in autostrada all’altezza di Castel San Pietro, davanti ai cancelli dello stadio prima del concerto.
A Milano la coda è quasi sinonimo di qualità: se non c’è coda per entrare in una discoteca, in un ristorante, in un pub, allora si vede che quel posto non è un granché.
A Milano la coda l’accetti come un fatto imprescindibile: c’è ed è così, e basta. Non puoi fare nulla per evitarla.
L’assenza di coda a Milano comporta l’assenza di vita. Ci manca stare in coda un ora per fare 10 km di strada. Ci manca riempire quel vuoto esistenziale con una telefonata, un pezzo a caso alla radio, un giornale tra le ginocchia.
O forse no? Forse magari possiamo fare a meno di tutta questa coda? Forse esiste un modo diverso di organizzare le nostre vite che non implica per forza convergere tutti nello stesso punto alla stessa ora? Forse la fabbrica, le vacanze forzate ad Agosto, la mobilità urbana basata sulle autovetture private sono il retaggio di una società arcaica che non aveva gli strumenti che abbiamo oggi per risolvere i nostri problemi?
Ve lo dicevo prima e ve lo ripeto adesso: e sté a casa che è mejo!