Definire a caldo che tipo di esperienza sia stata la lettura di questo libro rischia di essere in un certo qual modo parziario e riduttivo. Più che una semplice lettura infatti, questo libro può definirsi meglio come un incontro. Uno di quegli incontri che ti lascia qualcosa, ti arricchisce, che pianta un seme e mette un po’ d’acqua e terriccio proprio dove ce n’era bisogno. Un’esperienza insomma che non finisce nel momento in cui arrivi alla fine della narrazione, ma che per qualche strano motivo comincia proprio li, quando cominci a prendere coscienza dei tanti consigli, di quelle tante briciole (come le definisce l’autrice) che Domitilla ha disseminato lungo tutto il percorso che dallo scaffale della libreria ti ha portato al divano di casa tua. Ed è proprio li, non con una certa sorpresa (è il caso di dirlo) che ti ritrovi ad un tratto con tutta una serie di idee che ti frullano per la testa. Idee forse scontate per alcuni, ma che fino ad oggi faticavano ad uscire, in preda forse ad un certo pessimismo dettato dal fare le cose giuste nel modo sbagliato.
Il titolo “Due gradi e mezzo di separazione”, la copertina ad alto contrasto e dal piacevole impatto tattile (che da proprio l’idea di un nastro, o per meglio dire di un filo rosso vivo e vivace che lega e unisce una serie di concetti), tutta una serie di piccoli indizi sparsi tra l’account di Twitter dell’autrice e la seconda di copertina trasmettono l’immagine di un testo agile, snello, apparentemente senza grandi pretese se non quella di descrivere un fenomeno (il networking) che con l’avvento di Internet e delle tecnologie informatiche ha assunto una propria identità e dignità e che oggi costituisce uno dei pilastri del nostro agire sociale.
Apparenze dicevamo, pronte ad essere smentite, piacevolmente, fin dall’introduzione. La promessa di Domitilla Ferrari (che della condivisione delle conoscenze e dei contatti ha fatto il suo credo) sembra in un primo momento decisamente sfidante. Eppure, man mano che si va avanti con la lettura del testo e si acquisiscono esperienze, consigli ed evidenze scientifiche, ci si accorge che effettivamente il campo di analisi e di azione di una simile disquisizione sono molto più ampi di quello che si può in un primo momento immaginare.
In questo libro non si parla solo di Internet, di Twitter, di Facebook, di Linkedin e di come riuscire ad ottimizzare la propria presenza sulla rete per avere più follower (o seguaci, se ancora preferite le definizioni pane al pane e vino al vino). E non si parla solo di lavoro, di esperienza professionale e di carriera attraverso la scalata impervia della piramide aziendale fatta (come molti vorrebbero farvi credere) montando di sella in sella sui cavalli giusti.
L’oggetto del dibattere è insomma ben altro e di ben altra importanza: è il nostro capitale sociale, quella rete di incontri ma soprattutto di relazioni che ci serve per vivere e che dunque merita di essere sviluppata nel modo adeguato. Noi che, in qualità di animali sociali, abbiamo imparato a coltivare la terra per trarne al momento opportuno dei frutti ma che non siamo ancora riusciti a tradurre questa metafora agricola al nostro modo di interagire con le persone che ogni giorno si affacciano consapevolmente o inconsapevolmente nel nostro vissuto quotidiano, abbiamo bisogno di qualcuno che ci spieghi cosa sia necessario fare, quale sia il punto di vista corretto per inquadrare la questione, e quali soprattutto siano le cose da correggere per poter ricalibrare il tiro.
In questo senso, Domitilla Ferrari sembra la persona giusta: semplice, sintetica, sincera, ripetitiva quanto basta per fissare i concetti chiave, incarna perfettamente l’ideale comportamentale descritto in questo libro, fungendo dunque da esempio vivente e da motivazione per poter mettere in pratica tutti i consigli contenuti in poco meno di 200 pagine che, anche grazie ad uno stile espositivo scorrevole e brillante, possono essere lette (come è capitato a me) tutte d’un fiato.
Stranamente l’incontro con questo libro giunge nel mio caso proprio al termine della lettura di un critica impietosa (per quanto costruttiva e in fondo ottimista) dei nuovi media ad opera di Jaron Lanier, che nel suo “Tu non sei un gadget” (Mondadori) condanna più che l’interazione tra gli individui in Rete le interfacce che permettono (e in parte vincolano) tale interazione, riducendola a qualcosa di sub-umano e lontano dalle reali potenzialità del mezzo informatico. Nonostante questo, il pensiero di Domitilla riesce a far emergere quanto c’è di buono nell’utilizzo di Internet, immaginando la Rete più come un facilitatore di rapporti che come soluzione ultima del rapporto stesso. Internet insomma come un luogo dei tanti all’interno del quale si svolge la nostra socialità e grazie al quale riusciamo ogni giorno a trovare e coltivare con sempre maggiore facilità nuove amicizie. Legami che come tali richiedono impegno, fiducia ed una consapevolezza di se che con qualche dritta presente nelle pagine di “Due gradi e mezzo di separazione” saremo in grado di sviluppare, dando a noi stessi la possibilità di ripensare quello che siamo (e come lo siamo) fuori e dentro la Rete.