And this was CS50.
Questo corso di Computer Science dell’Università di Harvard era rimasto chiuso in un cassetto da quasi tre anni.
Tre anni fa cominciavo ad esplorare l’universo dei MOOC (Massive Open Online Courses) e CS50 è stato il punto di partenza di questa esplorazione che negli anni mi ha portato ad interessarmi di temi legati all’architettura, all’economia politica, all’urbanistica, alla storia del cinema di animazione giapponese, passando per corsi di Excel e marketing digitale.
Nonostante ciò l’impegno richiesto per superare le prove del CS50 non era paragonabile a quello degli altri corsi, ed era stato tale da avermi fatto desistere più di una volta. Per superare questo corso avrei dovuto imparare e mettere in pratica un numero piuttosto cospicuo di linguaggi di programmazione e mi sarei dovuto cimentare nella compilazione di algoritmi che, al momento in cui tutto questo è iniziato, mi sembravano impossibili.
Ho provato a più riprese a trovare una routine, a ricavarmi degli spazi all’interno delle mie giornate per guardare le lezioni, studiarmi i manuali, risolvere le prove di ciascuna delle 8 settimane in cui si articolava il programma. Ma al di la dei buoni propositi, arrivavo sempre ad un punto in cui lo sforzo extra richiesto non era sostenibile.
Fino ad oggi.
Nel momento in cui il lockdown è iniziato, ho provato ad immaginare come avrei potuto investire quel patrimonio di tempo e risorse mentali che tutto d’un tratto si erano liberate. E mentre pensavo, CS50 è rispuntato fuori da quel famigerato cassetto per ricordarmi una cosa che avevo lasciato in sospeso e che meritava di essere portata a termine.
Non è stato semplice neanche stavolta. Ma il patto era questo: se non ce l’avessi fatta, avrei dovuto abbandonare definitivamente qualsiasi speranza di poter portare a casa il pezzo di carta che attestava l’avvenuto superamento delle prove che adesso vedete campeggiare in fondo a questo post.
Con questo pensiero in testa ho ripreso per l’ennesima volta a scalare quest mia personale montagna. E come spesso accade quando ci si mette in testa di fare qualcosa, ho continuato diritto per la mia strada senza domandarmi a che punto fossi arrivato e quanto mancasse all’arrivo, visualizzando solo il momento in cui avrei schiacciato per l’ultima volta il famigerato bottone dell’interfaccia di sviluppo per sottoporre il mio progetto finale.
In tutto questo ho realizzato che anni di MOOC sono serviti ad interiorizzare una modalità di apprendimento che nella sua profonda libertà e volontarietà ti lascia talvolta spiazzato e senza riferimenti ma che in fondo fa dell’errore (inteso come risultato dell’errare) il suo vero punto di forza. E questo, ovviamente, mi è stato di grande aiuto.
E quindi alla fine del percorso che cosa ho imparato? Beh, parecchie cose:Anzitutto che l’impresa intellettuale che si cela dietro alla computer science permette di capire più a fondo il rapporto tra gli uomini e le macchine e l’importanza che il ragionamento in termini algoritmici può avere nel comprendere la black box del mondo digitale fatto di input e di output invisibili ai più.
Ma soprattutto questa è stata l’ennesima conferma che la volontà, quando c’è, riesce a superare qualsiasi cosa. O perlomeno, riesce a superare molte più cose di quante se ne possano ragionevolmente immaginare.
Diventa dunque secondo me imperativo per il prossimo futuro affrontare le novità come ho fatto con questo corso: un po’ per volta, giorno per giorno, con la volontà di imparare e non di arrivare alla fine. Realizzando che durante il viaggio si possono fare delle scoperte che valgono più del pezzo di carta che consegui in fondo.