VAMPIRI SOCIALI

Te lo dicono tutti ultimamente che una delle cose fondamentali da fare per potersi risparmiare tanti mal di pancia nella vita è mettere dei paletti.

Le persone brave, quelle che hanno capito tutto e ti spiegano come si fa, sentenziano che a differenza tua loro hanno saputo mettere al momento opportuno un paletto. Ne hanno messo uno ad esempio con la moglie (o con il marito). Poi ne hanno messi un paio con gli amici (specie quelli più importuni e molesti). E visto che ne avanzavano un po’ ne hanno piazzato uno anche con il fratello, la sorella, il padre, la madre… Per non parlare della foresta di paletti che hanno piantato intorno ai figli (di solito due perché, anche su questo argomento, ad un certo punto hanno dovuto mettere un paletto).

Il metodo in fondo è semplice. Quando un determinato rapporto sociale prende una piega scomoda, quando una persona non ci diverte più, quando smette di dare e comincia a chiederci qualcosa in cambio… TAC! Affondiamo il nostro paletto nel terreno. Tracciamo la nostra ideale linea di confine, il limite invalicabile che l’amico, il parente o il familiare non può superare. E sopra quel paletto mettiamo un cartello che a chiare lettere spiega a chi volesse avventurarsi in quella zona quali sono le cose che gli è consentito o non gli è consentito fare, dire, pensare.

Il rischio per chi non rispetta le regole è altrettanto esplicito. Chi supera il paletto viene depennato dalla nostra lista, privato per sempre della nostra amicizia. E poi non dica che non lo avevamo avvertito.

Il paletto è una specie di segnale, come il beep del park assist dell’automobile che suona quando ti avvicini troppo al parafango del veicolo di fronte. È il lato relazionale della prossemica, quella scienza che stabilisce le distanze che ciascuno deve tenere da noi per non farci sentire minacciati.

Ed è forse proprio questo aspetto che mi preoccupa un po’ quando vedo tutta questa gente in giro che pianta paletti a destra e a manca. Sembriamo tutti un po’ impauriti da questo mondo di relazioni, di gente che bussa alla nostra porta, di idee che circolano e si contaminano. Non abbiamo il tempo e le energie da poter impiegare in questa attività. E non abbiamo sangue a sufficienza da poter sacrificare a questi vampiri sociali. In un simile contesto la priorità numero uno sembra essere quella di difendersi da quanti vorrebbero trasformare il nostro “io” in un “noi” , da chi ci allunga una mano aspettandosi che anche noi facciamo un passo verso di loro, da questa epidemia di affetti che pensavamo ormai fosse stata debellata.

Il problema, forse, è che alla fine di questa nostra personale crociata di egoismo rischiamo di trovarci da soli con i nostri paletti tutto intorno. E arriverà, immancabilmente, il momento in cui avremmo finito il sale da cucina.

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